Col de l’Iseran: melius abundare quam deficere

Col de l'Iseran
In cima al Col de l’Iseran

Una volta che si è sentito parlare del Col de l’Iseran, il destino di un ciclista amatore è segnato: sa già che prima o poi la sua bicicletta lo porterà fino ai 2.770 m. del valico alpino carrabile più alto d’Europa.
Quando il Tour de France lo attraversa, incollato allo schermo televisivo, sei già proiettato nella tua prossima impresa.
E’ innegabile che il desiderio di affrontare Sua Maestà l’Iseran si affacciasse da tempo, ma pensare di farlo addirittura due volte di seguito, non era nei programmi.
Alla fine, con cinico orgoglio, posso affermare che sia stata la soluzione più semplice per levarsi subito il dubbio su quale sia il versante più duro, senza dover organizzare una seconda trasferta.

Il Tour de France 2021

L’occasione giusta si è creata consultando il percorso del Tour de France di quest’anno. Nel 2019 il Tour si dovette fermare lungo la discesa verso Val d’Isère, a causa di una frana mista a grandine che invase la strada. Quel 26 luglio la tappa non giunse all’arrivo previsto di Tignes. Ora l’organizzazione ci riprova. In questo Tour 2021, ridisegnato con due tappe alpine alla fine della prima settimana, nella speranza di creare maggior spettacolo e bagarre tra i capitani in gara.
La prudenza, e forse la scaramanzia, li induce ad evitare il Col de l’Iseran e ad arrivare a Tignes passando da nord, attraversando Bourg-Saint-Maurice. I ciclisti affronteranno solo la prima parte della temibile salita, quella che precede la zona dell’evento del 2019.
Noi non siamo scaramantici e, partendo da Susa, percorreremo proprio la stessa direzione del Tour 2019. Non può succedere di nuovo.
Piccola nota di cronaca: quel giorno, Thibaut Pinot abbandonò la corsa. A Tignes il nostro albergatore si chiama Thibaut. Non so quanto sia frequente in Francia chiamarsi Teobaldo, ma comincio a pensare che avremmo dovuto leggere meglio i segnali del fato.

Domenica 4 luglio: Susa – Tignes

Forse lo avrete notato: ho detto noi, poco fa. Noi chi? Tre quinti del Tour del Monte Bianco più un nuovo innesto: Luca e Teo (il rodato Team FCH), Livio e il sottoscritto.
Programma: partire da Susa, arrivare a Tignes, guardare la tappa e tornare il giorno dopo per la stessa strada: 190 km. e 5.100 m. di dislivello in due giorni. Moncenisio – Iseran e poi Iseran – Moncenisio.
Alle 7 e 1 minuto i nostri GPS cominciano a registrare. Tabella di marcia rispettata.
Lo zaino sulle spalle pesa sulle prime rampe. Solo Livio ha scelto una soluzione di borse bike-packing, agile e leggera.
C’è un po’ di umidità, ma la temperatura non è male. Il cielo è coperto, ma non preoccupa.
Neanche una macchina per parecchi chilometri. E i chilometri saranno parecchi per davvero. Quasi 31 per arrivare in cima.

Il Colle del Moncenisio

Salendo lungo la statale 25, il Colle del Moncenisio è una salita interminabile, praticamente costante. La pendenza di rado scende sotto il 7%. Più spesso si aggira tra l’8 e 9%.
Ho montato il pacco pignoni delle Grandi Salite: il 12-28. Volevo risparmiare il rapportino per le rasoiate che ci aspettano sull’Iseran, ma ogni tanto mi ci “appoggio” e rifiato. Anche perché il pignone prima è solo un 24.
I 7 kg dello zaino sulle spalle mi condizionano quando mi alzo sui pedali: sento che potrei spingere il rapporto, ma ho paura che il peso sulla schiena mi faccia affaticare troppo, alzando il ritmo. Così limito il ritmo en dansuese all’essenziale.
Solo al Lac Saint Nicholas, appena oltrepassato il confine, la strada spiana. Ma quei muri che sostengono i tornanti, là in fondo, non promettono nulla di buono.
L’altimetro del GPS è impazzito da tempo. Non ho riferimenti di quanto manchi. Teo mi ha avvisato che la salita non finisce là in cima, ma affronto i sei tornanti della Gran Scala come se fossimo arrivati. Spingo in progressione e, appena passata la casa della vecchia dogana, pago il mio dazio di energie al vento che domina la conca finale.
La strada supera la diga del bellissimo lago artificiale del Moncenisio. Un falso piano lo costeggia. A chi sarà venuta l’idea di seguire il bordo di un lago con un sali-scendi? Non saranno gli ultimi ringraziamenti pubblici agli ingegneri civili transalpini. Ci ricorderemo di loro anche tra le nuvole dell’Iseran.

La Route des Grandes Alpes verso il Col de l’Iseran

La discesa dal Moncenisio non è caldissima. Il fondo stradale presenta parecchie toppe ed imperfezioni: non è stato divertente.
Nell’ultimo tornante tagliamo a destra per Lanslevillard. Dopo un po’ di travaglio interno, mi sono convinto che la salita del Col de l’Iseran vale anche con partenza da Lanslevillard, invece che dal più canonico Lanslebourg: fanno parte della stessa Comune. Prova omologata!
Attraversato un ponte sul fiume Arc, siamo sulla Route D902: la mitica Route des Grandes Alpes.
Nessuno ti dice che prima del Col de l’Iseran bisogna affrontare il Col de la Madeleine a 1.746 m., passato il quale si perde un po’ di quota, prima di addentrarsi nel lungo falso piano che porta a Bessans e poi a Bonneval-sur-Arc.
A Bessans, malgrado sia quasi l’una di domenica, troviamo una boulangerie aperta e ci rifocilliamo.
Comincia ad alzarsi un po’ di vento fresco. Mi avvio, mentre gli altri ancora finiscono di mangiare.
Il meteo non impensierisce. Lo fa invece la strada che si vede tirare dritta lungo il pendio alle spalle di Bonneval-sur-Arc. Ci aspetta un susseguirsi di lunghissimi zig zag lungo la montagna.

Il Col de l’Iseran

Usciti da Bonneval siamo a meno 12 dalla vetta. Sarà una ascesa lunga, lenta e faticosa. Sono talmente
concentrato a pedalare che non saprei dire quando il tempo è peggiorato. Le previsioni davano un po’ di pioggia leggera nelle ore centrali della giornata. Sembravamo averla scampata.
Teo mi ha già abbandonato. Stringo i denti, non per difendere la seconda posizione, ma per cercare di non farmi ribaltare dallo zaino. Il cielo è coperto, ma anche se fosse stato sereno, non credo avrei avuto tempo per ammirare il paesaggio. I rettilinei non lasciano scampo.
Comincia a piovere ai meno 4. Approfitto della corta galleria per fermarmi, indossare la mantellina e mettere la cappottina allo zaino, la cosa più importante di tutte.
Passata la galleria si ricomincia a picchiare duro sul pedale. La pendenza arriva al 14%. E’ una mazzata sulle gambe. La pioggia aumenta. Il rifugio non si vede. L’ultimo tornante. Il passo è ancora nascosto. Ma dov’è? Eccolo, dopo l’ultima curva a destra, avvolto nella nebbia., a 2.770 m.
Scendo dalla bici, non prima di aver mandato un saluto agli dei delle salite e degli ingegneri civili (soprattutto quelli della scuola “i tornanti, questi sconosciuti”) e mi infilo dentro le mura in pietra del rifugio. E mai nome fu più azzeccato.

La discesa verso Val d’Isere

Mentre aspettiamo Luca, bevendo un paio di thè, il tempo peggiora ulteriormente, la temperatura scende.
Ci complimentiamo con noi stessi per il fatto di essere in orario sulla tabella di marcia prevista. Ignari.
Nel frattempo, fuori dal rifugio è arrivato l’inverno. Più tardi scopriremo che c’erano zero gradi.
Non appena saliamo in sella, il vento ci tira in faccia spilli di pioggia ghiacciata. La visibilità non andrà oltre i 50/60 metri.
Ormai è evidente che l’accoppiata Iseran – Tour de France porta sfiga.
Non c’è nient’altro da fare che scendere. Seguo la segnaletica per terra che indica il centro della carreggiata.
Accendo le luci per rendermi visibile alle poche auto che salgono. Il freddo consuma in fretta le batterie.
Fortunatamente le prime curve non sono troppo ripide. Ho il tempo di capire le reazioni dei freni sul bagnato, mentre il freddo indurisce le mie mani in una presa immobile, sufficiente a non far prendere troppa velocità alla bici.
Qualche ciclista inconsapevole si avventura ancora lungo la salita. Mi fermo un paio di volte per sciogliere il collo, intrappolato tra il freddo e il peso dello zaino.
A fondo valle un raggio di sole ci illude che tutto stia per finire. Il tremore delle braccia fa vibrare il manubrio.
Quando ci fermiamo a Val d’Isère siamo quattro ballerini scoordinati sotto il diluvio. Le labbra ghiacciate emettono suoni non ben riconoscibili.

L’arrivo a Tignes e il passaggio del Tour

Arriviamo a Tignes alle 16:30. La mitica carovana del Tour è passata da poco. A noi interessa solo fare una doccia calda e cercare di recuperare un po’ di circolazione sanguigna.
Alle 17:25 siamo schierati sul secondo tornante della salita di Tignes a circa meno 3 dall’arrivo. Finalmente smette di piovere: il nostro abbigliamento minimale non avrebbe retto molto oltre. I polpastrelli non hanno ancora recuperato la loro sensibilità.
Passa O’Connor in fuga. Mattia Cattaneo lo insegue. Ecco Quintana. Poi Sonny Colbrelli che risponde con un sorriso al nostro incitamento. Pogacar impassibile come sempre. Nibali spento e lontano. Le cosce di Greipel. Cavendish, che barcolla in uno degli ultimi gruppi. Tanti volti grigi per la stanchezza ed il freddo da metà gruppo in poi, lottano per stare dentro il tempo massimo di giornata.
Non ne ho la certezza, ma per un attimo ho temuto che se non fossimo riusciti a vedere il passaggio dei corridori, i miei compagni mi avrebbero soffocato nel sonno. Pericolo scampato.
Mentre ci beviamo una birra ed un vino caldo, ci auguriamo che domani il tempo migliori.

Il Col de l’Iseran da Val d’Isère

La mattina di lunedì 5 luglio il tempo è incerto. Il cielo è ancora coperto e la temperatura si aggira sui 10 gradi.
Una bella colazione e si parte. Tutto sommato non c’è neppure troppo acido lattico nei muscoli. La partenza promette bene, la gamba gira sciolta.
Il versante da Val d’Isere è di tutt’altro tenore rispetto al versante sud. Finora abbiamo risalito la valle con una andatura costante e non troppo intensa.
Mandrie di mucche dal manto cammello lucido ci fanno compagnia. Agnellini che belano nei prati lungo la strada. La pastorizia è un’attività ancora ben praticata in questa valle.
Il Pont Saint-Charles, sotto cui scorre il fiume Isère, segna l’inizio della salita vera e propria. Ora si comincia a fare sul serio. Le pietre miliari bianche e gialle scandiscono il passo. Ci aspettano 11 km di strada e 700 metri di dislivello.
La pendenza non è mai crudele: pedalando mangio una barretta.
Arrivato ad un tornante a sinistra, si cambia versante, la strada si addolcisce, si possono scalare un paio di rapporti. Ci si mette sui pedali per rilanciare, non per cercare l’equilibrio. Poco dopo compare il vento. Una ciclista in mountain bike, in evidente difficoltà per le raffiche, mette il piede a terra. Si scusa, mentre, barcollante, rischia di urtarmi mentre la supero.
Mancano due chilometri. L’impegno si fa più serio. Il cippo dell’ultimo km non c’è. Meglio: è una tirata unica per due chilometri fino in vetta. Ancora la nebbia. Le previsioni davano sole.
A 2.770 m le regole sono diverse. Comanda la montagna.

Discesa su Bessans

Quando cominciamo la discesa, piove. Di nuovo. Fortunatamente non con la stessa intensità del giorno prima. Indosso il pile e due mantelline, una sopra l’altra. Pedalo lungo tutta la discesa, un po’ in avanti, più spesso indietro. Il freddo di ieri me lo ricordo bene.
Scendendo, il cielo si apre e riesco a godermi un po’ dello spettacolo che non avevo ancora ammirato.
Mi sembra impossibile avere fatto quella salita il giorno prima. Guardare in basso, cercando la strada verso valle, mette le vertigini.
Ancora tappa a Bessans per pranzo. Ci prendiamo il tempo di un pasto in un bistrot, mentre finalmente i raggi del sole cominciano a scaldare. Mi levo il pile da montagna.

Risalendo la Val Cenis

Colle del Moncenisio in bicicletta
Finalmente il cielo azzurro sul Colle del Moncenisio

Il Colle del Moncenisio da Val Cenis non è una salita impossibile. Certamente non va sottovalutata. Sono solo 8 km, ma il suo procedere costante, la stanchezza ed il caldo (incredibile, ma improvvisamente faceva caldo, forse anche troppo) me l’hanno resa ostica.
Ero partito bene. Una bella pedalata agile e rotonda. Sulla destra le Alpi della Vanoise in direzione Modane, coronate dalla neve.
Al segnale dei meno 4 km, però, mi sono fermato a prendere fiato. Ancora lo zaino a comprimere il collo. E’ finito il carburante. Forse il caldo mi ha sorpreso e ho bevuto poco. Così mi fermo di nuovo ai meno 3.
E’ molto raro che metta il piede a terra lungo le salite. Non avvertivo dolore alle gambe, ma non riuscivo comunque a farle girare. Sentivo il bisogno di decomprimere la pressione della mente.
Il conteggio dei km, la lettura delle pendenze medie segnalate dai cippi lungo la salita mi avevano mandato fuori giri. Infatti, mentre ero pronto a mettere piede a terra per la terza volta ai meno 2, la mancanza del segnale a bordo strada mi ha incoraggiato. Non vedere la distanza mancante mi ha stranamente messo fiducia. Ho riconquistato un passo deciso, attacco l’ultimo chilometro senza più indugi. Sono in cima per godermi lo spettacolo del lago del Moncenisio: una macchia blu scuro mare nel verde delle montagne a 2.000 metri.

Pensieri sul Lago

Dopo circa un quarto d’ora di contemplazione, arriva Luca, vero eroe di questa nostra avventura. Io quest’anno un po’ di km nelle gambe ce l’ho. Teo si sta allenando per la maratona. Livio lo conosco poco, ma da amante totale della montagna, l’ho visto spingere la bici, con le sue lunghe leve, con ben poche esitazioni. Luca, con il poco allenamento che aveva, ha sofferto, sopportato la fatica, talvolta di certo anche la noia, vinto la resistenza della gravità, centimetro dopo centimetro, e sorriso per la soddisfazione e la gioia in cima ad ogni salita.

La discesa verso Susa

Ora è solo discesa, quasi, solo discesa. Bisogna ancora regolare i conti con il falsopiano lungo il lago e vincere il vento laterale che spazza la conca al di sotto della diga.
La discesa dal Moncenisio è veloce, ma lunghissima. Ancora una volta rivivo il film della salita del giorno primo. Impossibile essere passati di qua!
Quasi tutta la strada rimane all’ombra degli alberi, fa un fresco ristoratore. Il vento ci accompagna fino a fondo valle, ogni tanto qualche raffica più forte.
Ai 500 m. di altitudine di Susa, il nostro nastro si riavvolge. Carichiamo le bici. Le immagini e le emozioni cominciano a sedimentarsi. Qualcuna più viva ci strappa subito un commento.
Con due secondi posti sul Col de l’Iseran e due terzi sul Colle del Moncenisio (entrambi hors categorie) non porto a casa la maglia a pois. Ma la concorrenza era agguerrita e , soprattutto, più giovane.
Ora, distanza di quasi due settimane, ripartirei. Lo spettacolo del Col de l’Iseran senza nebbia, nuvole e pioggia merita sicuramente una seconda, pardon, una terza chance.


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