Rumori sordi dall’abbaino. Forse tuoni. Meglio così, meglio che piova subito, piuttosto che prendere freddo come ieri sullo Stelvio.
Mi alzo e controllo. Nessun segno di pioggia. Nuvole basse, ma niente di intimidatorio. E’ già svanita la mia scusa perfetta per tornare a letto. Per rinunciare alla fatica di affrontare il Passo Gavia.
Era il mio acido lattico che parlava ed aveva confuso i rumori del traffico sul selciato con i tuoni.
Svelato in fretta l’equivoco, la mia coscienza mi obbliga ad andare (i tedeschi direbbero “ich muss Farrhad fahren!”).
E considerato che le previsioni, ieri sera, davano -2 in cima al passo dopo l’ora di pranzo e pioggia/neve nel pomeriggio, meglio mettersi in marcia subito.
La partenza
L’esperienza di ieri (e quella del Col de l’Iseran) mi hanno insegnato qualcosa, anche se sono un po’ duro di comprendonio.
Svuoto uno zainetto promozionale, di quelli a sacchetto, con i cordini a far da spallacci e ci metto dentro i guanti lunghi, la maglia comprata ieri, un cappello di lana ed un pile da montagna di medio peso. Sarò un po’ meno elegante del previsto, ma starò al caldo in caso di necessità.
Parto dall’albergo e mi concedo un breve giro fino all’inizio del paese di Bormio, voglio godermi qualche momento, prima della salita per il Passo Gavia, guardarmi un po’ intorno, dare uno sguardo alle montagne, verificare il meteo.
Sono pronto. Si parte. Zona funivia, direzione Valfurva.
Si costeggia l’Adda, il fiume magico della Martesana Van Vlaanderen.
Le due parti della salita
Dividerò la salita in due per alcuni motivi: prima di tutto perché, anche se Santa Caterina è precisamente a metà della salita, la pendenza media per arrivarci è più dolce (poco più del 4%) rispetto al pezzo successivo ( 6,65%), poi perché il paesaggio assume un aspetto decisamente più alpino, una volta superata Santa Caterina ed infine, perché la chiusura della strada ai veicoli motorizzati, proposta da Enjoy Stelvio National Park, comincia proprio da qui.
Il Passo Gavia fino a Santa Caterina Valfurva
La pedalata parte stanca, sulla prima asperità verso la frazione di Uzza, vengo subito superato da un ciclista con un passo deciso. Non appena la strada spiana, passa un gruppo di germanici in tiro per il Campionato del Mondo, bici superlucide, bulbi peliferi asportati per distinguersi come pedalatori professionali ed abbigliamento attillatissimo e superleggero da Gran Canaria.
Metto in atto la tattica del giorno prima: li seguo e in attimo sono sul ciclista che mi ha superato in partenza. Almeno un’onta è stata riparata. Chiacchieriamo. Lui è del posto. Due settimane fa ha fatto il Gavia dal versante di Ponte di Legno. Conosce bene le strade. Fatto sta che tiro sempre io.
La galleria
Passato l’ottavo chilometro si incontra una galleria, ma una lingua d’asfalto esterna, dedicata ai ciclisti, permette di evitarla. La pendenza sale al 9%.
Vedo di fronte a me una donna in mountain bike. E’ esile, leggera e molto tenace. Viaggia da sola, frulla in piedi un rapporto corto, ma non appena la pendenza cala, si siede, scala un paio di rapporti e scatta. Nel raggiungerla, perdo per strada il ciclista al traino.
Mi accorgo subito che quel ritmo non fa per me. Per evitare di fare la figura dell’uomo che deve stare davanti a tutti i costi, per poi essere staccato e punito per il suo senso di superiorità, sto direttamente a ruota e la lascio andare, quando scatta per la terza volta.
Siamo arrivati a Santa Caterina. Poco prima del “fermo auto” il team germanico è a bordo strada: prendono le sacche con gli indumenti pesanti dal furgone di supporto. A dire il vero, qualcuno si era già fermato anche prima, un altro farà finta di avere problemi al reggisella più avanti.
Da Santa Caterina al Passo Gavia
Secondo breve tratto di pavé, dopo quello di Sant’Antonio. Inizia una serie tornanti, la strada si stringe ed il bosco di abeti si fa più vicino.
Passato il primo tornante incontro uno di quei personaggi che rendono misterioso ed interessante (soprattutto per gli analisti) il mondo degli appassionati del pedale. Sta salendo con una bici da passeggio con cinque, sei rapporti al massimo, uno zaino bloccato nel portapacchi a molla per la spesa. Non contento di questo, suda sotto un passamontagna nero, che si è tirato fin sotto il mento per cercare di prendere quel poco di ossigeno che l’altitudine della montagna gli concede. E’ arrivato in Valtellina con il treno, ieri si è fatto lo Stelvio e qualche giorno prima il Mortirolo (dal versante facile di Grosio, però…).
Saluto un ciclista in handbike, incontrato ieri sullo Stelvio e procedo con passo regolare. I tornanti aiutano e i tratti dritti, anche se impegnativi, si smorzano nel tornante successivo.
Una freccia indica “Bormio 2000”, mi volto per cercare l’arrivo degli impianti, memore della vista su Santa Caterina di cui si gode da lassù.
Il Ponte dell’Alpe e l’arrivo
Il Ponte dell’Alpe mette un po’ timore: gli alberi sono scomparsi, l’ampio curvone sale lungo un promontorio di rocce grigie che la strada, proseguendo, avvolge. In qualche modo bisognerà superare questo dislivello e le premesse non sembrano le migliori.
Infatti quello che segue è il punto più duro di tutta la salita. Non appena la strada torna rettilinea, il gps segna 21%. Per 3 chilometri, la spia rossa dell’allarme pendenza si accende ad intermittenza: 15%, 14%, 20%. E’ l’ultimo dei 5 strappi che ho individuato lungo la salita, il più arcigno.
Supero un gruppetto che barcollando disquisisce di pendenze reali e percepite, invece di pedalare. Aggancio un biker con la front con una divisa del Team Alta Valtellina. Ci diamo alcuni cambi. Il terreno ora è piano. Chiedo conferma che sia così fino alla fine.
Il Rifugio Berni non lo considera nessuno. A poche centinaia di metri la biker incontrata prima di Santa Caterina. Ancora una volta scatta, non appena intravede l’arrivo.
Scatto anch’io: una giornata iniziata con pigrizia finisce nella gloria di un arrivo in progressione, sotto il cielo grigio e lo sguardo arcigno ed impassibile del Monte Gavia.