Scalata all’Etna in bicicletta

Scalata all'Etna - Piano Provenzana

L’Etna in queste ultime settimane è tornato a far parlare di sé. Il mondo intero ha rivolto lo sguardo verso l’angolo nord-orientale della Sicilia. Le pagine dei giornali e i social network sono colmi di sue foto e filmati spettacolari. Prima le eruzioni di lava nel cielo stellato, poi la pioggia di cenere che ha invaso paesi e città nel raggio di diversi chilometri. C’è apprensione mista a meraviglia, tutte le volte che l’Etna manifesta la sua potenza.
Il suo fascino è irresistibile, anche quando non ha fenomeni così evidenti. Impossibile visitare Catania e rimanerne indifferenti.
Camminando per strada, sulla costa, nelle campagne, lo senti, il tuo sguardo lo cerca, imponente, nero, fumante, immobile, ma sempre in movimento.
Per un ciclista è impossibile non pensare di affrontare la scalata all’Etna in bicicletta, dopo aver conosciuto da vicino ‘a muntagna.
Chi ci vive sotto, così lo chiama. Un nome in cui sta tutta l’espressività siciliana, con il suo linguaggio preciso ed allusivo. Con le parole che affermano, anche quando negano. Con un retrogusto sapido ed un taglio ficcante che non ti devi far sfuggire. Un incedere che alterna volute cerebrali ad espressioni sospese. Un nome, quindi, che ignora, con un esorcismo lessicale, tutta la pericolosità del vulcano, custodita per chilometri sotto la crosta terrestre. Un nome che è tutto nell’articolo determinativo: non c’è n’è un’altra di montagna, in Sicilia.

Come è nata l’idea della scalata dell’Etna

Il fascino dell’Etna mi ha colto più dalla carta stampata che dalle immagini della TV. Nel 2016 su una rivista di settore (le cui copie custodisco gelosamente dal primo numero) era apparso un articolo che descriveva un giro intorno al vulcano. Cosa possibile evitando di arrivare in cima, rimanendo ad una altitudine intermedia su tratti di strada più adatti ad una bici gravel. Infatti, una delle caratteristiche della salita dell’Etna è che non si scollina come in un qualunque passo di montagna. Finita la salita bisogna tornare indietro.
Ci sono fondamentalmente due versanti: il sud e il nord, anche se il secondo sarebbe forse più corretto chiamarlo est, a mio avviso.
E così, memore di quell’articolo, mentre mi trovavo a Catania per lavoro, nella primavera del 2018, ho cominciato ad organizzare la mia scalata all’Etna in bicicletta, facendo visita ad un negozio di bici che effettua anche noleggio e che sarebbe stato il mio primo riferimento.

La scelta del versante

L’organizzazione prevede: viaggio di lavoro a Palermo e Catania, qualche giorno di ferie con la famiglia che mi raggiunge e un giorno dedicato alla bici: il 5 luglio.
Fino a due giorni prima non avevo ancora scelto il versante, ma visto che eravamo stati in gita al Rifugio Sapienza e poi in escursione sui crateri dell’Etna, alla fine scelgo il versante nord, per poter vedere un paesaggio diverso e una salita completamente nuova.
Infatti, a parte qualche rara eccezione (come per lo Zoncolan) , di solito affronto le mie salite senza averle esplorate prima. Mi piace quel senso di scoperta, di imprevisto che alimenta l’ansia della sera prima.
Anche il percorso, senza traccia GPS, è vago: Catania, Aci Reale, Giarre, poi si gira a sinistra, direzione Linguaglossa e si sale fino a Piano Provenzana a 1.810 m.

Avvicinamento alle pendici dell’Etna

La paura più grande è di patire il caldo, anche se di solito non soffro particolarmente la temperatura. Però la sete potrebbe diventare un problema. Parto abbastanza presto, ma sono pur sempre le 7:30 e l’avvicinamento è lungo.
L’Orientale Sicula è trafficata, anche se non in maniera eccessiva. Arrivo sul selciato di Giarre ancora fresco e guardingo. Al semaforo rosso uno sguardo a Google Maps, tra poco c’è il bivio. La fortuna mi accompagna e lo trovo subito: mi aspettano 33 km. di salita.
La strada avanza tra stradine di campagna in mezzo ad aranceti ed ulivi. La sagoma dell’Etna in faccia. Purtroppo questo tratto non si riesce ad apprezzare con leggerezza a causa della eccessiva sporcizia ai bordi delle strade. L’atmosfera ne risente e l’umore ne viene rovinato. Un terra così bella e ricca di patrimoni naturali, artistici ed umani afflitta da questa piaga così disturbante ed odiosa.
A Piedimonte Etneo mi concedo una sosta per una barretta, un caffè ed un rifornimento d’acqua. La salita vera non è ancora incominciata. Mancano ancora circa 6 km. a Linguaglossa.

Linguaglossa – Piano Provenzana

Abbandonata Linguaglossa, il lungo rettilineo iniziale della Mareneve segnala che oramai ci siamo, la pendenza comincia a sentirsi. Anche il caldo ora fa la sua parte in questa giornata limpida.
I tornanti che seguono alternano pendenze tra il 6 e l’8%. Guardo il ciclocomputer per vedere scorrere il dislivello.
Mi aspetto che il paesaggio cominci a colorarsi di nero, come sul versante sud. Invece niente, la vegetazione cambia e da mediterranea diventa alpina.
Attraverso la Pineta Ragabo che inattesa mi proietta sulle Alpi, magia della Trinacria. L’ombra in questo tratto centrale tranquillizza, mentre l’acido lattico inesorabile si accumula ed appesantisce le gambe.
A 1.500 m. la strada scollina, ma a destra prosegue per la vetta. La pendenza cresce, le forze diminuiscono.
Cerco l’ultimo rapporto, ma l’ho già inserito da tempo. Avevo chiesto un 28 denti e in questo momento, dopo quasi 50 km. di pedalata, quasi 2.000 m. di salita sulle gambe, scopro che il massimo che posso spingere è un misero 25, un dente in meno di quello che uso di solito. Mi alzo in piedi barcollando, il GPS dice 11%. Una rampa, due semicurve di seguito. Mancheranno due chilometri. Devo tenere duro.
Spunto in un rettilineo che mi offre un po’ di respiro. L’asfalto è nuovo, ricostruito sopra la colata lavica che circonda la strada. Maestose e misteriose lingue nere che incutono timore. Sono arrivato fin quassù per questo. Non mi posso fermare ora, ma tiro fuori il cellulare dalla tasca e scatto due foto pedalando.
Resisto ancora qualche minuto, la strada cede leggermente. Il cartello di “Benvenuto a Piano Provenzana”.
La vetta a 3.300 m. di fronte. Sono arrivato. Ho portato la Pinarello a noleggio in cima all’Etna.

La discesa ed il rientro

Il giro di oggi non si conclude con la scalata all’Etna in bicicletta. Devo rientrare a Catania. Così, mangio, scatto un paio di foto e riparto.
La discesa in alcuni tratti è piuttosto ripida. In certe zone, si percepisce il calore che la lava, ancora attiva sotto lo strato superficiale, spande nello spazio circostante.
A Zafferana Etnea si congiunge la strada che scende dal Rifugio Sapienza. Proseguo in discesa.
Ogni tanto ho qualche incertezza sulla direzione.
Fino a che non arrivo nei pressi di Aci Bonaccorsi e l’incertezza diventa certezza: sbaglio strada e così torno indietro. Cerco di intercettare la litoranea, ma non trovo la direzione. Le frecce in direzione di Catania mi portano a fare troppi sali e scendi sulle colline. Ho voglia di arrivare in albergo non di passeggiare per le campagne catanesi.
Finalmente trovo un cartello per la Orientale Sicula. Ho allungato un po’ il giro, ma ci sono. La scalata all’Etna in bicicletta è conclusa.
Arrivo a Catania trionfante: 128 km. – 2.800 m. di dislivello positivo in 6 ore e 40 minuti di pedalate.
Mi merito una doccia.


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