Era la primavera del 2011. Non ricordo il momento preciso in cui decisi che quell’estate avrei scalato il Monte Zoncolan. Sicuramente avevo ancora nella testa le immagini della vittoria di Ivan Basso l’anno precedente, quello della conquista del suo secondo Giro d’Italia. Soprattutto non ricordo come convinsi mia moglie a fare le ferie in quattro: noi due, nostra figlia e la bici (che poi alla fine le bici sul tetto dell’auto furono ben tre…). Ricordo molto bene invece il fascino delle montagne friulane viste dall’autostrada, attraversando la regione, qualche anno prima, diretti in Croazia. Anche da lontano le percepisci ripide. Non alte, ma maledettamente ripide.
Ad ogni modo, la decisione di affrontare la salita al Monte Zoncolan – dal versante di Ovaro ovviamente, il più difficile, quello più spesso affrontato dal Giro d’Italia – era presa ed in qualche modo bisognava prepararsi.
La preparazione
Non sono mai stato ossessionato dai programmi di allenamento. Quegli schemi di esercizi che ti portano a progredire nella prestazione. Probabilmente non ho la costanza, di seguire tabelle ed impegni fissi. Il mio obiettivo è divertirmi, non allenarmi. Ogni tanto svolgo qualche sessione di allenamento un po’ più attenta (cogliendo qualche consiglio qua e qualche consiglio là), ma mi stanco subito ed abbandono tutto nel giro di breve. Mi alleno a sensazione. Il miglior modo per non ottenere nessun risultato, sosterrebbe un allenatore.
Così feci anche in quell’occasione. Dopo aver visto qualche filmato della salita, analizzato lo sviluppo altimetrico dell’asperità, mi dedicai alle salite. Quelle solite. Quelle vicino a casa: la Bocchetta, i Piani di Praglia. Due, tre volte alla settimana la salita della Madonna della Guardia, a tutta, guardando il computerino della bici, cercando di capire se miglioravo il tempo di percorrenza al km.
Non avevo in programma di fare un tour, dovevo solo riuscire ad arrivare in cima alla salita più ripida d’Europa, secondo qualche statistica non necessariamente veritiera.
La ricognizione
Il giorno successivo all’arrivo a Ravascletto ero già in ricognizione, in macchina. Sulle prime curve, non appena la pendenza si impenna, un paio di ciclisti che barcollano. Li supero con calma. Non voglio rovinare la loro concentrazione. Dopo qualche centinaio di metri un altro ciclista. Il suo piede si stacca dal pedale e tocca l’asfalto. Non voglio guardare, metterlo in imbarazzo e farmi coinvolgere nella sua sconfitta. Quella di mettere il piede a terra è una ipotesi da scartare, la paura va esorcizzata con decisione. Ma la tensione comincia a crescere. Non sarà un impegno facile.
Il grande giorno – la salita al Monte Zoncolan
Il giorno successivo parto prima delle 7 e mezza. Foto di rito e via. Da Ravascletto ad Ovaro è praticamente tutta discesa. Arrivo bello freddo all’attacco della salita.
Passato Liariis, si attraversa la “Porta per l’Inferno” e comincia la salita vera al Monte Zoncolan. Dopo la prima curva a sinistra, alla prima stoccata al 20% mi aggrappo al manubrio e mi sento scivolare fuori dalla sella. Bella la sella in carbonio, ma maledettamente liscia. Ho paura ad alzarmi sui pedali, forse per non andare fuori giri, forse perché non voglio rovinare quell’equilibrio precario che ho trovato.
E’ una lotta. Solitaria. Non incontro nessun ciclista. Nessun ciclista che mi supera. Guardo in basso. Mi concentro. Conto le pedalate per far passare il tempo. E con il tempo, la distanza.
Riesco finalmente a mettermi in piedi sui pedali. E arriva anche la seconda rasoiata. Quando pensi che il più sia passato, ancora un’impennata. Non è possibile, pensi. Poi un po’ di respiro, al 7/8% sembra di essere in piano. Capisco che sto arrivando alle gallerie. Avevo installato due luci sul manubrio per la paura del buio, ma non devo neanche accenderle, la luce naturale è sufficiente.
Uscito dalla seconda galleria, penso a mia moglie e mia figlia, che mi aspettano in cima. Forse mi stanno guardando e allora parto per l’ultimo scatto.
Nel 2018 Chris Froome si ispirerà alla mia impresa, scattando a 3 km. dal traguardo. E’ partito un p0′ troppo presto…chissà se ce la fa. Lo folla lo incita. Lo applaude. Lo spinge.
Ce l’ha fatta anche lui!