Sabato 13 luglio. Ancora bel tempo. Mentre i francesi preparano la festa nazionale del 14 luglio, noi ci prepariamo per la terza tappa del Tour del Monte Bianco.
Nella nostra camera sottotetto la notte è trascorsa bene. Tutto sommato siamo riposati. Ora è prioritario non sottovalutare l’impegno della giornata che ci aspetta. Sicuramente la più dura con ben 4 salite in programma: Col du Brevent a 2.368 m., il Col de Balme a 2.191 m., il Col de la Forclaz a 1.527 m. ed una non ben precisata salita dopo la Forclaz che speriamo ci faccia prendere quota con moderazione. Viene chiamata Col o Collet de Portalo o anche Porte àl’O. Km.? Non ricordo con precisione quanti ne avevo calcolati, ma sicuramente più di 50.
La prima variante
Mi tocca fare la parte del grillo parlante, che mette in guardia gli altri dai rischi da affrontare.
Fortunatamente nessuno di noi vuole fare l’eroe o entrare nel guinness dei primati, così di comune accordo decidiamo che la prima salita la evitiamo. E’ una scelta presa a malincuore. Si tratta di un tratto di sentiero in montagna sul versante orografico destro della Valle dell’Arve. Sicuramente ci avrebbe offerto una bellissima vista sul Massiccio del Monte Bianco, però una volta superato il passo si torna a fondo valle, un po’ prima del Col des Montets.
Così decidiamo di pedalare direttamente sul fondo valle invece di 1.248 m. di dislivello, con circa 400 m. saremo all’attacco del Col de Balme.
Verso Chamonix
Uscendo dal rifugio torniamo a fondo valle, cercando tutti i sentieri e le scorciatoie che ci possano portare lontano dall’asfalto.
Alla fine intercettiamo un bel sentiero che corre in mezzo al bosco non lontano dal fiume. Siamo fuori dal percorso classico del TMB, ma è impossibile sbagliare direzione.
Infatti dopo non molto siamo a Chamonix. Ci concediamo una breve visita. L’Auguille di Midi domina il paese, impossibile distogliere lo sguardo e resistere al fascino magnetico che emana.
Dopo Chamonix pedaliamo sulla strada asfaltata. Sui tornanti ci superano alcuni ciclisti con la bici da corsa. All’altezza di Tré le Champ le Bas il bivio per il Col de Balme.
Seconda variante – Col des Montets – Vallorcine
Lo studio della cartina della sera prima, mi aveva suggerito una seconda variante di giornata. Poco eroica, ma molto pratica. Risalire ancora la valle su asfalto e prendere l’impianto per arrivare sotto il Col de Balme.
La decisione non è facile. O meglio: io ero deciso. Erano soprattutto le forze rimaste a comandare. Teo avrebbe voluto fare la salita. Luca non lo voleva far andare da solo. Un po’ di incertezza e di indecisione se e come dividerci, ma alla fine il gruppo rimane compatto.
Così arriviamo fino al Col des Montets e da li scendiamo per un bel sentiero tra prati e boschi fino a Vallorcine.
Si vede l’impianto di risalita. Ci avviciniamo: è fermo. Cabine sospese immobili nell’aria. In effetti abbiamo dato per scontato che la cabinovia funzionasse anche d’estate, che funzionasse al sabato, che funzionasse con gli orari che andavano comodi a noi.
Di colpo, quella che doveva essere una soluzione geniale diventa un sconfitta bruciante: tornare indietro per fare la strada che avevamo scartato perché troppo faticosa, dopo aver perso tempo e fatto chilometri inutili.
Col de Balme
Giriamo intorno alla stazione di partenza della cabinovia, arriviamo alla biglietteria. C’è il personale. Chiedo se l’impianto è chiuso. No, solo un fermo tecnico. Facciamo i biglietti prima che ci ripensi.
Ho portato il gruppo a fare due scelte non previste, ma sulla cabinovia, il morale è alto, nessuno ha accusato la situazione come un’imposizione e lo spirito rimane quello di tutti questi giorni: spensieratezza, allegria e voglia di faticare sul pedale.
Le Plan à l’Ega dove ci lascia l’impianto è circa 250 m. sotto il Col de Balme. Una sterrata a fondo compatto ed un po’ pietroso ci porta al colle.
Il cielo si è coperto e la temperatura non è proprio la più invitante per mangiare dei panini freddi all’aperto, tutti sudati.
Insomma, siamo in vacanza. Ci concediamo un pranzo al rifugio.
La discesa verso Trient e il Col de la Forclaz
La discesa dal Col de Balme a Trient è quella che ricordo con maggior piacere. Per me la più bella di tutto il Tour del Monte Bianco. Inizia nel panorama aperto, di alta montagna, privo di vegetazione. Il fondo scassato è impegnativo. Mentre proseguiamo in costa al pendio, scendendo passiamo in mezzo ai rododendri.
Appena si entra nel bosco, il fondo cambia, la terra diventa più scura. Teo si ferma a guardare qualcosa, una targa di un alpinista famoso, il ricordo di qualcuno o di qualcosa.
In quel momento l’adrenalina prende il controllo delle mie dita: non freno, lo passo e continuo a scendere. Ho strada libera davanti. Mi godo quello stato di grazia che ti fa dimenticare tutto. Non mi volto più, supero gradini naturali, rocce, radici, tornanti. Senza mai un’esitazione. Ad un certo punto provo a cambiare, ma senza risultato. Ci penserò più tardi, in fondo.
Arrivato in piano, passato due volte un torrente di fondo valle, controllo il cambio. Solo il cavo allentato. Lo stringo. Sulla prima rampa sterrata lungo la salita del Col de la Forclaz farà la bizze. Poi la strada asfaltata ha una pendenza intorno al 5-6%, scalo un paio di rapporti, salgo regolare e mi metto in testa fino al colle, dove una bancarella che vende buonissime albicocche locali ci offre l’occasione per una pausa ristoratrice.
La salita sconosciuta o Col de Portalo
La salita che dalla Forclaz ci porterà in Svizzera è sicuramente la più ostica, la più ripida e la più impervia di tutto il nostro Tour del Monte Bianco in mountain bike.
I primi metri ingannano. Abbandonando il passo, non sembra nulla di insuperabile. Poi il bosco e le prime rampe, ripide, ripidissime. Una, due, tre. Luca da dimostrazione di avere ancora energia e lucidità e continua a pedalare.
Io spingo. Tra sassi, radici, tanti camminatori in discesa ed una distesa di letame di mucca.
Dopo un po’ finiscono gli escursionisti, finisce il letame, ma non finisce la salita. Io e Angelo rimaniamo indietro. Per un breve tratto si esce dal bosco. Spiana un po’, ma le radici lasciano il posto alle pietre. Poi ancora bosco, radici, pendenze verticali. A tratti si fa fatica a spingere la bici su per i grumi di radici e sassi da superare. Si rimane in equilibrio precario spingendo la bici oltre l’ostacolo. Sono talmente stanco che non riesco neanche a pensare di mettere la bici in spalla. Forse dentro di me penso che intanto finirà presto.
Raggiungiamo la vetta del monte Golgota, pardon Portalo, dopo quasi due ore e 500 m. di dislivello a spinta.
L’incognita della terza tappa del Tour del Monte Bianco si è manifestata. L’abbiamo affrontata e superata.
Siamo in ritardo
Durante la discesa ci rendiamo conto che siamo in ritardo (questa volta per davvero, non come il primo giorno). La discesa è lunga, molto varia. Attraversiamo qualche pietraia e più di un guado. Facciamo una sosta forzata quando incontriamo una mandria di mucche che occupano il sentiero e che non sembrano tante disposte a lasciarci il passo. Il nostro rumore lungo la discesa le ha spinte verso valle e quando sono arrivate al cancello inferiore sul sentiero hanno ripreso la via verso la loro stalla. Probabilmente si sentono in trappola, impossibilitate a scappare. E sono maledettamente grosse e nere. La scelta più saggia e risolutiva dell’impasse sarà quella di salire sul pendio ripido e pietroso e lasciare loro il passo. Il sole è già calato su questo versante e cominciamo a guardare gli orologi e fare previsioni.
Poco dopo telefono al rifugio Relais d’Arpette, che è la nostra destinazione serale, avvisando che saremo un po’ in ritardo: “Va bene, ma dopo le 8 non accettiamo più nessuno”. Ordino il menu della cena per tutti e saluto.
Chissà perché quando sei in ritardo le discese portano sempre troppo in basso. Arrivati sull’asfalto, il desiderio ci porterebbe a sinistra, in discesa, ma la verità è che dobbiamo ancora salire. Altri 300 m. di salita.
Arriviamo alle 8 meno 10 minuti, dopo 55,5 km. e 2.537 m. di dislivello positivo.
Se non avessimo fatto le varianti…
Relais d’Arpette
L’ultimo paragrafo lo voglio dedicare al Relais d’Arpette, il rifugio dove abbiamo dormito al termine della terza tappa del Tour del Monte Bianco.
Non ho grande esperienza di rifugi di montagna, ma questo mi ha impressionato per l’organizzazione (bagni e docce multipostazione in inox, area deposito bagagli, lavanderia), la pulizia, la qualità del cibo (per la quantità ci è venuta incontro una cameriera francese che aveva piacere a praticare la lingua italiana e che ha compreso il nostro livello di fame) e la cortesia del personale.
E la colazione al nostro risveglio ha rafforzato queste impressioni. Ci ha date le giuste energie per affrontare l’ultima tappa del Tour del Monte Bianco, quella che ci riporterà in Italia.
Appuntamento a martedì.