Tour des Stations Ultimate 2023: il primo tentativo…

Tour des Stations 2023 - l'ascesa a Mayens-de-la-Zour
Lungo la salita per Mayens-de-la-Zour

Erano anni che non mettevo il numero sulla bici. Che non partecipavo ad una gara. Di quelle dove ci sono agonisti veri, che competono per vincere. Che non è propriamente il motivo (o l’obiettivo) per il quale partecipo io.
Pur sapendo che il mio miglior risultato sarà quello di portare a termine il percorso del Tour des Stations, l’effetto gara si sente. Nella lieve tensione che mi prende lo stomaco, nella distratta emozione durante le formalità pre-gara.
Il villaggio d’arrivo è allestito a Verbier, nel mezzo delle montagne vallesi. Sono in fila per il pacco gara nella corsia dei “duri”, quelli del percorso nero; insieme all’emozione cresce anche la convinzione e la determinazione. Domani ce la farò!

Tour des Stations: il festival dell’endurance

Il Tour des Stations si è ritagliato in poche edizioni l’attenzione degli ultrafondisti e dei pazzi che “una volta nella vita ci voglio provare” (nelle cui file mi schiero). A parte le 500 e 1.000 km (oltre le 24 ore di durata e partite nei giorni precedenti), le gare in programma sono quattro, su quattro distanze diverse. Tra queste, la regina è l’Ultrafondo: 242 km (che con le due discese non cronometrate diventano 260) attraverso diverse stazioni sciistiche sulle vette delle Alpi vallesi, scalando 8.848 metri (non casualmente l’altitudine dell’Everest), nel tempo massimo di 18 ore.
Considerando che l’orario ultimo di arrivo sono le 20:30, la partenza è prevista alle 2.30 di notte.
In realtà c’è anche una partenza alle 5:00, ma questo significa ridurre il proprio tempo a disposizione di 2 ore e mezza. Con il mio ritmo atteso di percorrenza, non me lo posso permettere.

La partenza

Sabato 5 agosto esco dall’albergo di Verbier alle 2 di notte, frontale sul casco e luce anteriore sul manubrio accese, giacca impermeabile ben chiusa fin sotto il collo, per ripararmi dalla debole pioggia di montagna.
Dopo 8 km di discesa sono in zona partenza, a Le Chable. Saremo circa 250/300 atleti. Quelli forti stanno ancora dormendo.
Tra gli altri partecipanti non vedo marziani o supereroi con il mantello. Qualcuno è in maglietta a maniche corte, nonostante la temperatura e la pioggia (questi nordici abituati al clima freddo…).
La maggioranza ha optato per le tasche posteriori piene, mentre io ho adottato una strategia diversa, che assomiglia ad un bike-packing leggero. Ho attrezzato la mia Emonda con tre borse piccole, su telaio e sella, per trasportare tutto il necessario (attrezzature per riparazioni, barrette e gel energetici, una maglia intima di ricambio ed una giacca per il freddo della notte e delle discese).
Gli speaker incitano i partecipanti: “Siete gli eroi dell’Ultrafondo!”. Lo start è puntuale (siamo in Svizzera….).
Una serie di click a ritmo alterno scandiscono i primi metri, le ruote cominciano a frusciare, mulinando acqua su chi segue, i muscoli delle gambe si sciolgono. Qualche spettatore insonne ci accoglie alla prima rotonda.

Tour des Stations: Col du Lein

Non c’è molto tempo per scaldarsi prima dell’attacco della salita al Col du Lein.
I soliti problemi di cambiata, alla variazione di pendenza inattesa, creano i primi buchi nella fila.
Recupero senza incertezze e resto al mio posto, nella pancia del gruppo.
Dall’alto dei pochi tornanti, vedo il serpentone luminoso salire deciso e costante su per l’aspra salita. E’ una bella sensazione.
Controllo i rapporti dei ciclisti che mi precedono: nessuna strategia “à la Roglic” dell’ultimo Giro d’Italia.
A seconda del cambio e del numero di velocità vedo girare tanti 32/36 denti. Quelli attorno a me hanno già messo in uso il massimo rapporto disponibile. Cambio anch’io, anche se volevo conservarmi il rapportino per le rampe più dure.
Quando manca un chilometro alla vetta, comincia lo sterrato. Mi aspettavo 4 chilometri, però più avanti…
Fortunatamente, il terreno ha drenato bene la pioggia caduta fino a pochi minuti fa. Qualche buca e le canaline di scolo sono già ostacoli sufficienti, in aggiunta alla pendenza ed al buio.
Allo scollinamento, avvolti dal fresco degli alberi della Forêt Fama, ci sono 4 gradi. Eccoli gli altri 3 chilometri di sterrato. Sono tutti in discesa. Sconnessi ed impegnativi, una discreta cattiveria alle tre e mezza del mattino con il buio pesto del bosco.
Quando torna l’asfalto, la discesa si conferma tecnica ed a tratti pericolosa: stretta, curve secche, tratti esposti, qualche roccia sporgente. Mentre il gruppo si distende, perdo il vantaggio della luce dei ciclisti dietro. La mia illuminazione si rivela scarsa. Cerco di stare dietro ad un concorrente con un bel faro, ma non è propriamente un discesista. Perdiamo posizioni, ma ci tengo alla pelle…
Comincio a desiderare l’alba.

Il primo ristoro e Ovronnaz

Anticipando l’alba, a Riddes arriva il primo ristoro. Molto gradito, essendo partito con un solo succo di frutta nello stomaco, a causa di un non perfetto “timing” con la colazione dell’albergo. Provo a mangiare un po’ di salato, ma la “viande sechée” (una specie di moccetta più secca) con i cracker, proprio non mi va giù. Mangio qualche dolce, riempio la borraccia e riparto.
In questo breve tratto di pianura, il percorso non è molto ben indicato. Manca anche il personale sugli incroci, sempre ben presente invece nel prosieguo della gara.
Attraversiamo le coltivazioni delle famose e buonissime albicocche del Vallese (spettacolo negato a noi ciclisti notturni). Ci sono diverse curve a 90°, improvvise e pericolose, infatti c’è anche chi finisce nel fosso a bordo strada per la foga.
Oltrepassato il Rodano, si ricomincia a salire. Destinazione Ovronnaz.
C’è un piccolo mistero legato a questa salita: è segnalata tra quelle da percorrere ed indicata dalla cartellonistica della gara, ma non compare nel live-timing con cui era possibile seguire la progressione dei partecipanti.
Con i suoi 859 metri di dislivello, una pendenza media del 9,4% e massima del 16,3% (dati del mio gps Hammerhead Karoo 2) è un peccato non ritrovarselo nel “curriculum” di gara.
La mia velocità media comincia a scendere, perdo 2,4 km/h rispetto alla prima salita. Sono 16 minuti di differenza in cima al colle.
Se le mie ipotesi sulla velocità media cominciano a vacillare, almeno funzionano i miei calcoli sull’arrivo della luce diurna. All’inizio della discesa è finalmente giorno.
Cielo ancora coperto, temperatura fresca, ma almeno si vede. Anche perché la mia luce anteriore si è scaricata. Scoprirò nei giorni successivi che l’accoppiamento del suo sensore ANT+ con il computer gps (per poterne controllare il livello di carica) ne determina una scarsa durata.

Mayens-de-la-Zour

La terza salita del Tour des Stations è un’altra salita Hors Categorie, dall’andamento particolare. E’ divisa in due parti, con una discesa centrale, dentro un bel paesaggio roccioso, che determina un cambio di valle e fa perdere circa 250 metri.
La prima rampa tra i vigneti, visibile dal punto di ristoro, è una vera e propria rasoiata. Sono questi strappi quelli che temo di più, non il dislivello complessivo. Il fiato si riprende subito, il cuore scende in fretta dopo l’impennata, ma l’acido lattico rimane lì, pronto a farsi sentire ancora, a contribuire al dolore alle gambe che ti porti dietro per tutti i chilometri restanti.
Sulla seconda parte della salita mi fermo ad una fontana, all’altezza della chiesetta di Notre Dame des Corbelins. Nel frattempo mi superano in 4 o 5. Tra questi ci sono due tra le sole 21 donne iscritte alla gara. Nessuna italiana.
Sto pedalando bene, la salita è ancora lunga. Si susseguono stancanti rettilinei che sembrano non finire più. Compare un bell’arcobaleno dal fondo valle. Il tempo si mette al bello.
Dopo aver abbandonato al suo destino un tedesco con fisico da pistard che caparbiamente lotta contro la forza di gravità, su uno dei pochi tornanti mi superano 3 ciclisti, ad un ritmo doppio del mio, anticipati dall’auto della giuria.
Subito rimango disorientato, ma recupero un po’ di lucidità: sono la testa della corsa partita alle 5. In circa 80 km mi hanno recuperato due ore e mezza di vantaggio. Passerò in cima alla salita di Mayens-de-la-Zour dopo 5 h 54 min. Il vincitore della gara dopo 3 h 13 min.

Anzère

Si possono percorrere 9,5 km in trance, mulinando i pedali in assenza di coscienza? Probabilmente si, se tutto quello che ricordo di questa salita (in assenza di foto, una distrazione che non mi sono concessa) è una rotonda a metà strada e lo scollinamento, in mezzo alle costruzione piuttosto recenti del resort sciistico di Anzère.
Sicuramente la colpa è la mia, ma se un limite si può evidenziare di queste località è quello di essere un po’ anonime, alpeggi trasformati in ordinati villaggi, ricchi di servizi e comodità, ma privi di storia e personalità. E così anche le salite, dipanandosi tra facili prati di media montagna, mancano di quel guizzo ingegneristico che le renda memorabili.

Crans-Montana

La quinta salita del Tour des Stations non è molto diversa dalla precedente.
E’ anticipata da un breve falsopiano dove mi fermo a stirare bene le gambe. Poco dopo mi fermo ancora per esigenze corporali.
Il sole è alto, sono ormai le 11 e finalmente decido di levarmi i gambali che mi stanno facendo sudare.
Nel salire, sempre le solite linee dritte. Tra l’altro ora in una strada piuttosto larga, in cui l’effetto demotivante si fa ancora più evidente. Sento che la mia azione è affaticata.
E’ arrivata l’ora di cambiarmi e mettere l’abbigliamento leggero. Mi fermo, mi levo la maglia a maniche lunghe, la termica anch’essa a maniche lunghe, indosso la maglia intima estiva, sostituisco la lente chiara degli occhiali con una protettiva (tutte le salite dopo l’alba immancabilmente in direzione del sole) e riparto.
Ora il passo è più deciso. Mi sento motivato e deciso. So che sto procedendo lento, ma ho ancora tutto il pomeriggio di fronte a me. Abbozzo due conti. Secondo me per le 19/19:30 sono a Verbier.
Crans-Montana compare con tutto lo sfavillio sfarzoso che gli è noto. Laghi per attività acquatiche, golf club, hotel di lusso, chalet sontuosi.
Oltrepassato il centro del paese trovo il ristoro. Vista la località, mi aspetterei un buffet regale con salmone, tartine al caviale e champagne, invece le solite cose di quelli precedenti. Anzi, la quantità scarseggia.
Sento un ragazzo dell’organizzazione che parla con un ciclista. Mi pare di capire che lo stia confortando che con il passaggio a Crans-Montana a quell’ora, si è aggiudicato l’arrivo in tempo a Verbier. Mi avvicino. Chiedo conferma. La risposta spezza ogni mia illusione residua. Sono fuori tempo massimo di 19 minuti. Posso proseguire, ma secondo i calcoli e l’esperienza dell’organizzazione, difficilmente arriverei alle 20:30.
Nel frattempo, un altro volontario fotografa il mio numero di gara, per essere sicuri di non dimenticarsi che sono escluso. Mi giro ancora verso il banco del ristoro: stanno sgombrando tutto.
Sono un po’ deluso dalla notizia, perché non avevo proprio tenuto conto dei “cancelli” orari da rispettare. Consideravo l’ipotesi di non rispettarli talmente remota, da non tenerli in considerazione. Con qualche sosta in meno ed un po’ più di focalizzazione ce l’avrei fatta a passare…
Ho sbagliato strategia, puntando solo all’obiettivo dell’arrivo ed ora devo decidere cosa fare.
Se è vero che probabilmente non arriverei entro le 20:30, vuol dire che rischio un arrivo in notturna, con il solo ausilio della luce frontale. E’ altrettanto probabile che i prossimi ristori siano scarsi o nulli, o perché sono già passati tutti a mangiare, oppure perché l’organizzazione li ha già smontati. Mi informo e mi confermano che a Sierre (alla fine della discesa), c’è la stazione del treno.
Potrei proseguire e rientrare in treno da un’altra località. Al momento non sono in grado di valutare se questa opzione sia vicina o lontana.
Decido per la cosa più diretta: mi accontento dei miei 4.400 metri di dislivello, non salgo neppure al Col de Crans-Montana, tiro dritto per la discesa e mi dirigo verso la stazione di fondo valle.

Tour des Stations: il rientro a Verbier

Tutto sembrerebbe essere facile nell’organizzatissima Svizzera francese, ma è sabato pomeriggio, l’ufficio informazioni è chiuso, i pannelli esplicativi dei treni in partenza sono scarni di informazioni, la biglietteria automatica intima di pagare, ma non sai bene per andare dove, la ragazza del chiosco dei giornali deve essere stata paracadutata da uno Shuttle di ritorno da Marte il giorno prima, perché stenta ad orientarsi tra le località della valle.
Chiamo il numero di supporto dell’organizzazione, comunico il mio ritiro e mi faccio dare due dritte su come raggiungere Le Chable, da cui prendere la telecabina per Verbier, dove mi aspetta mia moglie.
Nel frattempo arrivano altri ciclisti ritirati (a proposito su 462 iscritti, sono 118 quelli che risultano non partenti o ritirati). Tra di loro uno svizzero che deve raggiungere anche lui Le Chable per recuperare la sua auto.
Mi unisco a lui, chiacchieriamo della gara, di biciclette, delle sue vacanze in Liguria l’anno scorso. Ne approfitto per parlare un po’ di francese, lui mi fa anche i complimenti, anche perché non capisce per quale motivo un italiano parli francese (il motivo non c’è…).
Cambiamo treno a Martigny, poi il locale per Le Chable, poi la telecabina per Verbier, poi ancora la bici per raggiungere l’albergo.
Sono un po’ deluso, ma intanto le prime 5 salite le ho perlustrate…

Una risposta a “Tour des Stations Ultimate 2023: il primo tentativo…”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Don`t copy text!